Antropocene 39, 2022, inchiostro, olio e collage su carta intelata, 72,5 × 92,5 cm
©Foto Massimo Listri
Antropocene 40, 2022, inchiostro, olio e collage su carta intelata, 72,5 × 92,5 cm
©Foto Massimo Listri
Pietro Ruffo (Roma 1978)
Laureato in architettura a Roma, nel 2009 ha vinto il premio Cairo e nel 2010 il premio New York. Grazie a una borsa di ricerca dell’Italian Academy for Advanced Studies ha studiato alla Columbia University. La sua ricerca artistica ha sviluppato una profonda dimensione concettuale dell’arte, attraverso il disegno e l’intaglio, che diventano strumenti immaginifici di indagine e interpretazione della realtà, scomposta su più livelli intrecciati e sovrapposti. Paesaggi naturali, forme umane, mappe geografiche e costellazioni, geometrie e tracce di scrittura sono elementi ricorrenti nell’immaginario di Ruffo. Le sue installazioni arrivano ad assumere dimensioni ambientali. Ne risulta un lavoro stratificato, dalle molteplici letture visive e semantiche, che indaga i grandi temi della storia universale, in particolare la libertà e la dignità del singolo individuo. Ha esposto presso importanti musei e istituzioni internazionali tra cui: la Biblioteca apostolica vaticana nel 2021, il Museu de arte contemporânea de la Universidad di San Paolo nel 2021, lo ZAM a Hangzhou City in Cina nel 2020, il MAXXI di Roma nel 2008 e 2018, il Museo nazionale del Bardo a Tunisi nel 2018, l’Indian Museum di Calcutta nel 2018, la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma nel 2014 e nel 2018. Numerose le commissioni pubbliche, tra cui il progetto Urbano per la Borgata Giardino alla Garbatella, realizzato con 100 studenti nel 2019-2020 a Roma, e l’opera Migrante per il Parco dei Daini di Villa Borghese a Roma nel 2021. Alcune sue opere sono in importanti collezioni pubbliche, tra cui: Musei Vaticani; Collezione Farnesina del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; MAXXI; Fondazione Roma Tre, Teatro Palladium, Roma; MAR di Ravenna; Museo d’arte contemporanea Bilotti a Rende.
Le due opere esposte in teche di plexiglass nella veranda che spalanca la sala da pranzo sul giardino appartengono al ciclo Antropocene, l’ultimo a cui si è dedicato l’artista romano. Coniato nel 2000 dal premio Nobel Paul J. Crutzen, il termine ‘Antropocene’ si riferisce all’era geologica attuale, fortemente condizionata dall’azione umana. Attento alla questione ambientale e rifacendosi ai libri di Yuval Harari, Ruffo riflette sull’evoluzione della specie umana, da animale sapiente a divinità autodistruttiva, e propone una rappresentazione multidimensionale del cambiamento che è in atto dalla comparsa dell’Homo sapiens sulla Terra. In una metamorfosi figurativa continua, sovrappone carte e tele attraverso la sua tecnica del collage tridimensionale su più livelli, che vede stagliarsi le immagini di teschi, piante e paesaggi su uno sfondo di carte geografiche, intrise di dati della paleoclimatologia. Ciascun’opera propone una lettura diacronica dell’evoluzione di un particolare luogo tra natura e artificio, con il massimo rigore scientifico. Non sono di fantasia le creature disegnate da Ruffo in una dimensione metastorica, bensì forme di vita arcaiche oramai estinte. Eppure la composizione appare fantastica: nel denunciare la frattura tra natura e mondo umano, Ruffo costruisce, con spirito archeologico, un’architettura utopica di stampo piranesiano. Come nelle Carceri, la disorganizzazione dei frammenti formali diviene realtà assoluta e l’esplosione estatica delle tensioni si dissolve in un dinamismo raggelato. Attraverso un montaggio intellettuale degli elementi, che subiscono una distorsione semantica, Ruffo crea degli ‘appunti visivi’ che suscitano domande senza fornire risposte. (Renata Cristina Mazzantini)