Questo sito utilizza cookies tecnici (necessari) e analitici.
Proseguendo nella navigazione accetti l'utilizzo dei cookies.

Pietro Consagra

Giardino bianco, 1966, ferro dipinto, lastre tagliate, curvate, saldate e dipinte, 118 × 157 × 6 cm

©Foto Massimo Listri

 

Pietro Consagra (Mazara del Vallo 1920 – Milano 2005)

Studiò all’Accademia di belle arti di Palermo. Nel 1944 si trasferì a Roma e nel 1947 fu tra i fondatori del gruppo Forma. Due anni dopo espose alla Collezione Peggy Guggenheim, che acquistò una sua opera. In questo periodo abbracciò la visione frontale e sincronica della scultura, instaurando una filosofia della superficie, costruita da piani sottili accostati o sovrapposti, che si offre al dialogo spirituale. I bronzi presentati alla Biennale di Venezia nel 1954, nel 1956 e nel 1960, anno in cui ricevette il premio per la scultura, s’intitolano infatti Colloqui e gli valsero il riconoscimento internazionale. Nel 1962 espose al Guggenheim di New York, nel 1959 e nel 1964 partecipò a Documenta di Kassel. All’avvento della pop art contrappose nuove opere bifrontali, smaltate con colori forti e sensuali, che furono presentate alla Quadriennale romana del 1965 e al Museo Boijmans di Rotterdam, alla Marlborough-Gerson Gallery e al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1967. Nel 1968 creò La città frontale e poco dopo intensificò l’uso del marmo. Nel 1972 e nel 1982 espose ancora alla Biennale di Venezia. Realizzò la Stella e il Meeting a Gibellina. Nel 1989 la GNAM gli dedicò una retrospettiva a cui seguì, nel 1991, la personale all’Ermitage di San Pietroburgo e nel 1996 al Palazzo di Brera a Milano, dove installò una grande Porta. Collocò Giano a Roma, a Largo di Santa Susanna, nel 1997, e Doppia bifrontale a Strasburgo, davanti al Parlamento Europeo, nel 2003.

Il fascino delle sculture denominate da Consagra Giardini si rafforza se si collegano idealmente ai Piani sospesi e ai Ferri trasparenti, da lui iniziati nel 1964, con i quali vengono a costituire una sorta di paesaggio artificiale che si presenta come emozione plastica del vivere e fantasia realizzata. Tutte queste opere, dipinte di rosa, blu, lilla o turchese, sono state realizzate in un periodo in cui sembra rafforzarsi la capacità dell’artista di reinventare la scultura in un nuovo rapporto empatico con la società. Consagra, avvezzo a confrontarsi con ogni aspetto di una metallurgia pesante, sceglie in questa fase di utilizzare il colore come corpo sostanziale della scultura, alleggerendola così da ogni tensione ideologica. Nel Giardino bianco, realizzato in due pezzi unici, sembra che un’improvvisa corrente ascendente sospinga i frammenti delle lamine assottigliandole, incurvandole e componendole in una sola immagine. In un’alternanza di gravità e levitazione le lastre si ondulano e congiungono, configurandosi come un bozzolo che si schiude. Dipinto con le vernici industriali delle automobili, Giardino bianco, insieme ai Giardini arancio, carminio, viola e nero, suggerisce come la scultura possa anche trasmettere la libertà di apparire sensibilmente fragile e mutevole. (Renata Cristina Mazzantini)