Un tocco di rosa, 2011, olio su tecnica mista su tela di lino, 50 x 50 cm
Paride, 2018, olio su tecnica mista su tela di lino, cm 50 × 50
©Foto Massimo Listri
Stupore, 2017-2021, olio su tecnica mista su tela di lino, cm 60 × 60
Movimento perfetto, 2012, olio su tecnica mista su tela di lino, cm 50 × 60
Fragilità, 2013-2017, olio su tecnica mista su tela di lino, cm 60 × 60
©Foto Massimo Listri
Luciano Ventrone (Roma 1942 – Collelongo 2021)
All’età di sei anni fu ospitato in Danimarca da Metha Petersen, benefattrice che assecondò la sua vena artistica. Rientrato a Roma, si cimentò in vari mestieri per mantenersi agli studi e iscriversi al liceo artistico, dove si diplomò nel 1964. Frequentò la facoltà di Architettura, che abbandonò nel 1968 per dedicarsi interamente alla pittura. Affrontò tutti i temi dell’arte contemporanea, dalle sperimentazioni geometriche passando per l’informale e l’arte programmata, fino ad approdare, su consiglio di Federico Zeri, che lo scoprì nel 1983, alla ricerca sui vari aspetti della natura, definendola con un suo personale ‘realismo-astrattismo’. Intraprese un incessante e accurato studio delle forme del reale e, attraverso una rappresentazione quasi metafisica ed esistenziale, ne svelò la bellezza, con un livello di dettaglio che sottrae l’immagine al caos mediatico della nostra epoca. Nel 1995 si trasferì nel Parco nazionale d’Abruzzo. Come l’artista amava ripetere: «Lo studio della pittura non è la mera rappresentazione dell’oggetto ma è colore e luce: i giusti rapporti fra le due cose danno la forma nello spazio. Il soggetto non va visto come tale, ma astrattamente». È questa sua ricerca dell’invisibile che ha destato nei decenni l’attenzione di critici e storici dell’arte.
Le cinque nature morte di Luciano Ventrone – nella lingua inglese la denominazione still life ne connota con più forza la stupefacente vitalità – rappresentano il culmine dell’attività del pittore romano, uno dei massimi iperrealisti dell’arte contemporanea internazionale. Sebbene egli stesso sia sempre rifuggito dalla immediata e forse semplicistica appartenenza al genere, il suo è stato un iperrealismo algido in cui le basi della pittura (forma, luce, colore) sono state messe al servizio di una concezione filosofica platonica tesa a svelare il mondo delle idee prime. Da qui nasce lo stupore, nello spettatore, di una pittura che non inganna l’occhio bensì la mente e ci costringe a un cortocircuito per ridare senso a ciò che nella realtà non esiste: pure astrazioni, frutta, verdura, fiori che non sono mai così perfetti, mai così illuminati, mai così sul punto di essere veri, ancor più che verosimili. Pittore raffinato e di assoluto talento, Ventrone svela subito i suoi modelli antichi, a partire da quella Canestra di frutta che sta agli albori della natura morta. Ma, al contrario di Caravaggio, il cui sforzo è sublimare il passaggio del tempo e la corruzione che ne deriva, la frutta e i fiori di Ventrone sono colti nel loro massimo splendore, in una perfezione metafisica e assoluta; essi rappresentano il tentativo riuscito di andare oltre la realtà e sperimentare il limite del vero, cioè la prossimità per quanto possibile prossima tra noi e l’oggetto a cui tendiamo. (Angelo Crespi)