Varianti materiche, 2011, vinilico su tela, 80 × 100 cm
©Foto Massimo Listri
Carla Accardi (Trapani 1924 – Roma 2014)
Frequentò l’Accademia di belle arti di Palermo, dove conobbe Antonio Sanfilippo, con cui si trasferì a Roma nel 1946. Nel 1947 aderì al gruppo Forma. Nel 1948 prese parte alla XXIV Biennale di Venezia. L’anno dopo sposò Sanfilippo. Fino al 1952 la sua ricerca artistica si sviluppò nell’ambito della pittura concretista, poi abbracciò la poetica del segno. Nel 1954 il critico francese Michel Tapié la inserì tra i protagonisti della sua teorizzazione dell’Art autre, lanciandola come interprete della pittura segnica, soprattutto monocroma. Nelle opere degli anni Sessanta riappare il colore, con toni più vivi e variati, mentre il segno cambia struttura. Nel 1964 fu invitata con una sala personale alla Biennale di Venezia, dove tornò nel 1976 per la mostra Ambiente/Arte, curata da Germano Celant. Gli anni Settanta furono dedicati alla ricerca sul sicofoil e sulla trasparenza. Negli anni Ottanta tornò a dipingere sulla tela, spesso lasciata grezza ma animata da segni colorati. Nel 1988 la Biennale le dedicò una sala personale, mentre l’anno successivo espose alla Royal Academy of Arts di Londra. Fra le antologiche, si ricordano le mostre al Castello di Rivoli nel 1994, al Musée d’art moderne de la Ville de Paris nel 2002 e al MACRO di Roma nel 2004.
Analizzando la produzione più recente di Carla Accardi, quella tra la fine degli anni Novanta e il primo decennio degli anni Duemila, Germano Celant ha sottolineato come l’artista abbia rievocato motivi e immagini le cui radici affondavano tutte nelle sue precedenti ricerche, viaggiando «sempre sul bordo del mutamento, senza dimenticare la propria storia e la propria disciplina» e affrontando «il proprio passato e i propri contributi immaginari, senza renderlo un soggetto stagnante e disseccato, ma quale fonte di tenuta positiva». In Varianti materiche Accardi torna a strutturare la tela in una configurazione semplificata, fatta dell’intreccio su un fondo bianco di poche e ampie forme, attestate su poche tonalità di colore, com’era avvenuto in un circoscritto nucleo di tele dipinte tra il 1960 e il 1961, come Bianco nero chiuso (1960-1961) o Blu grigio (1961). L’usuale ripetizione ricca e frenetica dei segni, prima in bianco e nero e poi colorati, che nei dipinti e nei sicofoil tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta ha raggiunto effetti ottici del tutto originali e la profondità di infinite sovrapposizioni in trasparenza, in queste opere della maturità si placa e si scioglie in andamenti più controllati, in cui la pittura, distesa uniforme sulla tela, raggiunge un’essenzialità unica e inedita nella ricerca dell’artista. (Paola Bonani)