Ocra, 1962, tempera su tela, cm 73 × 92
©Foto Massimo Listri
Antonio Sanfilippo (Partanna 1923 – Roma 1980)
Frequentò dal 1938 il liceo artistico di Palermo. Nel 1942 si iscrisse al corso di pittura dell’Accademia di belle arti di Firenze, dove fu allievo di Felice Carena. Nel 1944, all’Accademia di belle arti di Palermo, conobbe Carla Accardi, con cui visitò Parigi. Nel 1947 aderì al gruppo Forma. L’anno dopo fu alla Quadriennale di Roma e alla Biennale di Venezia. Negli anni Cinquanta tenne mostre personali al Cavallino di Venezia, alla Schneider di Roma, al Naviglio di Milano; espose a Tokyo, New York, Osaka, Pittsburgh. Tornò alla Biennale nel 1954, nel 1964 e nel 1966 con una vasta sala personale, che lo designò tra i protagonisti dell’astrattismo italiano. Negli anni Sessanta si segnalano le personali alla New Vision Centre Gallery di Londra, all’Arco d’Alibert di Roma, al Naviglio di Milano. Espose anche a Chicago, Boston, Parigi, Berna. Nel 1971 tenne una personale alla Galleria Editalia di Roma. Nel 1980 la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea gli dedicò un’ampia mostra antologica.
Esposta nel 1962 dall’artista alla sedicesima edizione del premio nazionale di pittura F.P. Michetti a Francavilla a Mare, l’opera Ocra fa parte di un gruppo di lavori, realizzati da Sanfilippo prevalentemente tra il 1962 e il 1963, in cui l’artista raccoglie l’affollamento di segni all’interno di zone cromatiche ben definite, molto spesso di un uniforme colore nero, come avviene proprio in questo caso. L’emergere di queste figure chiuse, che richiamano in alcuni casi esplicitamente la forma dei balloon e la struttura narrativa del fumetto, testimonia la vicinanza di Sanfilippo alle ricerche che Cesare Vivaldi definì allora ‘nuova figurazione’, intorno a cui gravitavano in quegli anni a Roma, oltre a Carla Accardi, molti suoi compagni di strada, tra cui Achille Perilli, Gastone Novelli, Toti Scialoja e Giulio Turcato. La fitta trama di segni, che nei quadri degli anni precedenti si diffondeva uniforme sulla tela fino a ricoprirne interamente la superficie in un all-over proprio di molte ricerche informali, è ora chiusa dall’artista dentro una struttura delimitata. «Trovare il modo di fare zone colorate semplici… senza diminuire lo sviluppo del piccolo segno», scrive Sanfilippo in un breve appunto databile a quegli anni, in cui riassume in poche parole l’intenzione di far convivere l’energia, la varietà e la vitalità del suo tipico ‘segno piccolo’ con una più chiara e lineare costruzione dello spazio del quadro. (Paola Bonani)